Interventi

Fertility day: dietro la propaganda, gli interessi (borghesi)

26 Settembre 2016

Questo articolo è stato pubblicato in spagnolo su Izqiuerda Diario, giornale online della Fraccion-Trotskista. Quella che segue è una versione aggiornata e parzialmente modificata.

fertility

«La libertà di non fare figli è la più grande conquista femminile.» (N.A.)



Il 22 settembre 2016 si è celebrato il Fertility Day. Il Ministero della Salute, guidato da un'esponente del partito Nuovo Centrodestra (alleato del PD), ha inaugurato una campagna per incitare le coppie italiane a fare figli.
La giornata è stata anticipata da una lunga campagna mediatica che ha fallito su tutta la linea: la campagna pubblicitaria di qualche settimana fa, creata per pubblicizzare il Fertility Day, è stata oggetto di scherno e di critiche relative alla comunicazione, fatto particolarmente sorprendente per un governo, quello di Renzi, che ha fatto proprio della comunicazione il suo punto di forza.

Come se non bastasse, il 21 settembre è stato diffuso l'opuscolo in cui venivano spiegati la natura e lo scopo della giornata. L'immagine di copertina opponeva i “cattivi compagni”, presunti nemici della fertilità dalla pelle nera che fanno uso di droghe, ai “buoni”, modello a cui aspirare: due coppie di bianchi eterosessuali, decisamente non promiscui come gli altri.

In reazione alla polemica suscitata da questo ennesimo passo falso, la ministra, spazientita, ha invitato a smetterla di pensare alla campagna pubblicitaria («Non sono il ministro della Comunicazione», ha dichiarato) e ha invitato a concentrarsi sui contenuti.
Bene, facciamolo.

Beatrice Lorenzin è già nota per la sua attività politica legata al Movimento per la vita, vecchio gruppo antiabortista cattolico, che già si oppose, negli anni '70, alla depenalizzazione dell'aborto. In occasione di un convegno di questo movimento, Lorenzin ha avuto modo di dichiarare: «Il ruolo che svolge il Movimento per la vita ed in particolare quello dei Centri di aiuto alla vita è particolarmente importante e straordinario troppo spesso sottaciuto e non raccontato (...)» (1)

La scelta di declinare una campagna per la natalità in relazione al tema della salute è estremamente indicativo sull'intenzione di presentare una questione così delicata nel senso più “neutro” possibile, quando invece la questione non è affatto neutra.

A suo tempo, il movimento femminista pose le questioni dell'interruzione di gravidanza e della maternità, e in generale il benessere psicofisico della donna proprio in relazione alla salute. A questo proposito ricordiamo il bellissimo volume scritto nel 1971 dal Boston Women's Health Book Collective dal titolo “Noi e il nostro corpo. Scritto dalle donne per le donne”, nel quale la scienza viene considerata uno degli strumenti attraverso cui le donne si autodeterminano, in quanto serve al benessere e al mantenimento della salute.

È chiaro che se un'antiabortista della prima ora parla in nome della “salute” per condurre una campagna di natalità c'è qualcosa che non torna.

In realtà l'operazione a favore della riproduzione che sta facendo il governo Renzi trova un suo collegamento con la politica riproduttiva fascista, dato che i figli che questo governo considera degni del Belpaese devono essere esclusivamente italiani e frutto di coppie eterosessuali: in Italia infatti i figli degli immigrati non hanno gli stessi diritti degli altri, e una legge sullo ius soli è ben lontana dall'essere approvata. Inoltre, le persone
transessuali non possono riprodursi, visto che è loro imposta la sterilità al momento della transizione.
Insomma: la fertilità sì, ma solo per alcuni.

Comparare la politica sessuale di Matteo Renzi con la politica riproduttiva del fascismo potrebbe sembrare una forzatura, ma non lo è. Anche se il fascismo giocò carte diverse in questo senso, più congeniali ad un sistema e ad una propaganda totalitarista, in quello che è conosciuto come il “discorso dell'Ascensione” del maggio 1927, Mussolini pose il problema dell'incremento della natalità in termini espliciti rispetto ai fini che il regime si proponeva, e, riguardo al legame con la struttura economica e sociale capitalista, nient'affatto distanti o discordi dall'interpretazione corrente borghese familista-produttivista fatta propria e incarnata dal governo Renzi.
Gli argomenti usati in difesa della razza da Benito Mussolini erano la necessità di avere a disposizione una manodopera a basso prezzo e la necessità di un aumento della popolazione in vista dei nuovi territori da popolare in seno al progetto imperiale fascista. La terza ragione della campagna fascista a favore delle nascite, non esplicitata da Mussolini ma ipotizzata da alcune storiche (2), è la necessità di ristabilire le differenze tra uomini e donne che si era creata dopo la prima guerra mondiale. Il fascismo voleva infatti, con questa campagna, rafforzare la famiglia e il ruolo del padre-marito, dopo aver costretto le donne a tornare a
fare le casalinghe con la fine del conflitto mondiale.

Anche se l'Italia del 2016 non esce da una guerra, è comunque vero che la crisi economica che sta attraversando ha contribuito notevolmente allo squilibro tra i sessi interno alla famiglia, per cui spesso mentre gli uomini si trovano in un regime di totale disoccupazione o di occupazione precaria, le
donne sono di fatto impiegate tanto quanto (se non di più) degli uomini: fatto inaudito e inedito per la cattolicissima Italia.

La femminilizzazione del lavoro non è un dato recente, però è diventato rilevante nel momento in cui è iniziata la crisi economica, per cui il problema dell'occupazione femminile è stato ancor più svalutato e considerato secondario. La crisi economica capitalista ha stravolto la famiglia, e una campagna di natalità è quello che ci vuole per ristabilire gerarchie, ruoli e ordine.

Il fatto curioso è la superficialità di questa iniziativa, perché anche coloro i quali aspirano a costruirsi una famiglia tradizionale, di fatto non se la possono permettere, cosa di cui è responsabile il governo stesso, e le
politiche economiche messe in atto a livello europeo a difesa di interessi padronali, che portano ad una restrizione (quando non alla eliminazione) dei diritti sociali e di ogni forma possibile di sostegno alle condizioni materiali di vita delle masse lavoratrici (le banche non concedono mutui, e di fatto senza l'aiuto dei genitori costruirsi una propria famiglia è impossibile). Come Mussolini, anche Renzi è completamente disinteressato all'aspetto e all'implicazione “riformista” della questione che solleva, e la campagna punta
tutto sulla banale verità che il tempo passa, e i figli o si fanno subito o non si fanno più.

Se la campagna di comunicazione ha fallito, e se ha fallito anche il tentativo maldestro di porre all'ordine del giorno un bisogno che già esiste, ma che, frustrato dalla crisi economica, non può o fa fatica a diventare realtà, di fatto l'operazione nel suo complesso è stata una manovra politico-ideologica che, se non ha trionfato, certamente ha fatto sì che il governo Renzi si potesse accaparrare i voti anche di quella destra cattolica e tradizionalista senza collocazione o senza partito.

«Mi chiedo se per la ministra Lorenzin lavorare in catena di montaggio, fare i turni di notte, lavorare il sabato e la domenica, respirare sostanze tossiche sul posto di lavoro etc etc siano 'stili di vita'. Perché quelli sì che
producono danni alla salute riproduttiva di donne e uomini...» ha commentato la sindacalista FIOM Eliana Como, centrando il problema, e cioè che, volendo entrare nel merito, alla ministra Lorenzin (semmai ci fosse bisogno di una conferma) non interessa per davvero la salute delle persone e nemmeno la fertilità: quello che interessa è che la famiglia come unità di mantenimento dell'oppressione non venga distrutta dal capitalismo stesso.

Concludendo, questa operazione è uno dei più pesanti affondi propagandistici alla libertà delle donne e alla loro autodeterminazione mai messi in campo negli ultimi decenni: nemmeno nel ventennio berlusconiano si riuscì ad arrivare a tanto.

L'unica risposta che questo governo merita è una lotta che rimetta al centro l'autodeterminazione delle donne per la parità di salario e per lavorare meno e tutte (a pari salario); di una lotta per i diritti realmente legati al diritto alla salute, e cioè: libertà di accesso all'aborto, abolizione dell'obiezione di coscienza per i medici nelle strutture pubbliche, sanità gratuita e libera dai privati che, a causa dei tagli, sono spesso responsabili della morte delle donne che abortiscono e che partoriscono.

Una lotta che significa, quindi, dare un senso vero e profondo a quella “salute” che la borghesia vuole far passare come qualcosa di neutro, ma che neutro non è.






(1) http://www.mpv.org/mpv/allegati/30158/14111011mpv.pdf

(2) Victoria de Grazia, "Il patriarcato fascista: come Mussolini governò le donne italiane 1922-1940" (in: George Duby, Michelle Perrot (a cura di), La storia delle donne in Occidente. Il Novecento, Laterza, Roma 1993.)

Serena Ganzarolli

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