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Panama Papers: la criminalità del capitalismo

17 Aprile 2016
Panama

Ricordate la “grande offensiva contro i paradisi fiscali” lanciata nel 2009 dal G20? Secondo la propaganda dei circoli dominanti e della loro stampa avrebbe dovuto rappresentare il colpo fatale all'evasione fiscale internazionale. Nei fatti era solo il tentativo delle classi dominanti di tamponare l'insofferenza delle opinioni pubbliche di fronte alla grande crisi capitalistica mondiale e agli immani sacrifici sociali imposti alle masse lavoratrici.

La prova - se ve ne era bisogno - arriva sette anni dopo. I "Panama papers" sono una vera cartina di tornasole della realtà del capitalismo mondiale. L'affresco fornito dall'indagine giornalistica e dai suoi hackers è davvero impressionante. Non si tratta di una somma, per quanto estesa, di evasori illustri di ogni paese e continente. Si tratta del disvelamento del sistema organico di ladrocinio delle classi dominanti di tutto il mondo ai danni del mondo del lavoro e della maggioranza della società.

Le classi dominanti del mondo non si accontentano di incrementare ovunque lo sfruttamento del lavoro, con la progressiva riduzione della quota dei salari sul PIL a vantaggio del capitale. Non si accontentano di investire una parte sempre maggiore del bottino ricavato dallo sfruttamento nella roulette della rendita finanziaria. Non si accontentano di incassare una montagna crescente di risorse pubbliche, pagate dai lavoratori, a tutela dei propri profitti, grazie alla rapina sistematica su pensioni, sanità, istruzione, servizi sociali. Pretendono anche una progressiva riduzione del carico fiscale su grandi patrimoni, profitti e rendite. La riduzione delle tasse sul capitale è da tempo all'ordine del giorno in tutto il mondo, ed anzi rappresenta oggi una delle voci della concorrenza capitalistica tra i vari paesi per attrarre investimenti. Anche all'interno dell'Unione Europea. Ad esempio il famoso miracolo dello sviluppo irlandese è legato all'abbattimento della tassazione sui profitti al 12%, naturalmente pagato dal taglio delle prestazioni sociali. Si tratta di una pubblica gara di evasione fiscale all'insegna del massimo ribasso: una evasione fiscale non solo “legale” ma pubblicamente rivendicata ed elogiata ovunque dalla stampa benpensante delle “democrazie” capitalistiche, nel nome delle virtù consacrate della libera concorrenza e del mercato.

Ma per il capitale non è abbastanza. Accanto al sistema dell'evasione virtuosa e acclamata, prolifera il mondo sommerso dell'evasione sottaciuta e “biasimata”. Biasimata... ma praticata ordinariamente da chi la biasima. Questa è la sostanza dei Panama papers. Larga parte delle gigantesche ricchezze ricavate dallo sfruttamento del lavoro e dall'accumulazione finanziaria si sottraggono ad ogni forma di tassazione, per quanto ridotta, imboscandosi nei cosiddetti “paradisi fiscali”. Assieme alle fortune accumulate dalla criminalità del narcotraffico, delle mafie, del riciclaggio. Altro che distinzione tra capitale sano e capitale criminale! Le banche sono ovunque gli attori principali dell'operazione. Sia in funzione propria, sia al servizio dei propri facoltosi “clienti”. Presso la sola società panamense di Mossack Fonseca - che immatricola 214.488 società offshore - hanno operato e operano ben 365 gruppi bancari mondiali. E non piccole banche di sottobosco. Ma proprio le grandi banche di ogni paese, ovunque acclamate dal salotto buono della grande stampa (di cui non a caso sono spesso azioniste). Parliamo ad esempio della britannica HSBC, della svizzera UBS, ma anche della Société Générale francese, della immancabile Deutsche Bank, delle banche italiane Unicredit e Banca Intesa. Le stesse banche solitamente impegnate in ogni paese a reclamare sacrifici e tagli sociali sono state e sono il canale ordinario di occultamento al fisco delle fortune del capitale. Un ladrocinio nascosto che si aggiunge al ladrocinio legale. Ma anche la rivelazione del segreto di Pulcinella. I paradisi fiscali non sono affatto un luogo ignoto, finalmente “svelato”. Né lo sono le pratiche correnti che ad essi ricorrono. Al contrario. Accanto al pubblico fior fiore dei più rinomati studi legali, sponsorizzati dalle stesse banche, che sono dediti alla cura di tali “affari”, vi è una pletora infinita di società legali minori che prospera negli anfratti di questo mondo sommerso. È sufficiente farsi un giro su internet per capire che chiunque può aprirsi la propria società di comodo con poche centinaia di dollari. Chiunque può pubblicamente documentarsi su dove è più conveniente stabilirsi, su quale via è più consigliabile per “frodare lo Stato”. Il quale Stato sa e copre ovunque, da buon comitato d'affari della classe borghese. Salvo di tanto in tanto praticare qualche “condono” per incassare un piccolo ritorno delle cifre rubate, in cambio dell'assoluzione dei capitalisti ladri (le cosiddette voluntary disclosures). Questo a proposito del... “rigore della legge contro la criminalità” e di tutta l'ipocrisia “legge e ordine” (... contro i rom e i migranti) di cui si nutrono i giornali dei capitalisti.

La prova più clamorosa dell'ipocrisia borghese sui paradisi fiscali è tuttavia un'altra ed è sotto gli occhi di tutti. I più grandi paradisi fiscali oggi esistenti non sono affatto i luoghi esotici comunemente indicati come tali dalle ufficiali agenzie delle entrate (peraltro oltre 50). Sono i luoghi che nessun grande stato borghese può pubblicamente indicare per evidenti ragioni di diplomazia, di imbarazzo, di reciproca complicità: perché sono all'interno della comunità imperialista, la cosiddetta comunità internazionale. La Gran Bretagna è il più grande paradiso fiscale d'Europa, con una specifica legislazione di tutela degli evasori (i trust). Le Isole Vergini Britanniche sono non a caso una sua appendice. Lo stesso vale per l'Olanda. Lo stesso vale per gli Stati Uniti d'America che il Tax Justice network indica al terzo posto nel mondo, dietro Svizzera e Hong Kong, nella nuova graduatoria dei paradisi fiscali: in molti stati americani è diventato legale creare trust che coprono i nomi dei beneficiari, a partire dal Sud Dakota. Del resto le grandi aziende Usa hanno parcheggiato su conti offshore 2.400 miliardi. Dunque che credibilità potranno mai avere i ciclici convegni e solenni proponimenti dei governi borghesi e della diplomazia mondiale contro l'evasione fiscale? Sono solo parole per allocchi con cui bandire cerimonie elettorali. Una truffa che si aggiunge alla truffa.

Ma non è finita. Ai cultori di scuola stalinista orfani del campismo e per questo solitamente pronti ad esaltare il "ruolo progressivo" della Russia e della Cina in ogni parte del mondo, quale contraltare all'Occidente, diamo volentieri una cattiva notizia: capitalismo russo e capitalismo cinese escono denudati dalle carte dei Panama papers non meno dei capitalismi occidentali. Le ridicole accuse di Putin alla CIA non riescono a mascherare l'evasione fiscale dei grandi oligarchi e dei capitalisti più vicini al Cremlino che evidentemente sapevano bene dove imboscare il grande bottino ventennale della rapina effettuata con la restaurazione capitalistica in URSS. (Come lo sapeva il capitalista Poroshenko, oggi a capo della reazione ucraina, anch'egli cliente al pari di Putin della società panamense). Né il silenzio glaciale di Pechino può nascondere la criminalità fiscale della nuova grande borghesia cinese: dei maggiori papaveri di apparato e delle loro cerchie familiari, ormai proprietarie private di immense ricchezze immobiliari e finanziarie da lasciare agli eredi; come dei grandi gruppi industriali cinesi che scorazzano sul mercato mondiale e che quindi coltivano assieme ai rivali la pratica capitalistica del furto fiscale. Il fatto che il capo del Partito...”Comunista” cinese sia impegnato nella solenne “campagna contro la corruzione”, mentre i suoi parenti più stretti imboscano le proprie (sontuose) ricchezze a Hong Kong, a Panama, a Dubai, misura una volta di più la perfetta omologazione della Cina capitalista al resto del capitalismo mondiale e alla sua sconfinata ipocrisia. Sarebbero questi... gli alleati dei lavoratori europei o dei popoli oppressi?

Il marxismo rivoluzionario e il suo programma escono confermati dalle carte di Panama. Come scriveva Marx, «il capitalismo è corruzione permanente». Lo “scandalo” non sta in questo o quell'altro episodio rivelato. Lo scandalo è la società borghese, fondata sullo sfruttamento e sulla truffa: una associazione a delinquere che solo una rivoluzione potrà spazzare via. Per questo l'alleanza internazionale dei lavoratori attorno a un progetto rivoluzionario, al di là di ogni divisione di frontiera, è l'unica vera risposta alla criminalità internazionale del capitalismo.

Partito Comunista dei Lavoratori

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