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Contro la guerra e la repressione del governo liberalfascista di Kiev

27 Aprile 2014

Per i diritti nazionali della popolazione russofona. Per l'autonomia dall'imperialismo russo. Per una soluzione proletaria e socialista della crisi ucraina

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La situazione ucraina è in pieno movimento.

Il governo liberalfascista di Kiev, sostenuto dagli imperialismi occidentali, ha avviato un'azione militare repressiva contro la mobilitazione di settori popolari russofoni dell'Est Ucraina, impiegando allo scopo sia le truppe regolari sia le milizie fasciste di “Settore Destro”, largamente inquadrate peraltro nella Guardia nazionale ucraina. L'obiettivo è di ripristinare l'ordine pubblico nell'Est recuperando il pieno controllo sulla parte economicamente centrale dell'Ucraina, e al tempo stesso vincolare i propri protettori internazionali imperialisti, a partire dagli USA, ad un sostegno politico militare sempre più diretto “contro la Russia”.


CONTRO L'AZIONE REPRESSIVA DI UN GOVERNO LIBERALFASCISTA. CONTRO GLI IMPERIALISMI D'OCCIDENTE CHE LO SOSTENGONO. A DIFESA DEI DIRITTI DELLA POPOLAZIONE RUSSOFONA

Questa operazione repressiva va combattuta e respinta, incondizionatamente e senza riserve. In primo luogo perché un suo successo comporterebbe la stabilizzazione di un regime politico reazionario, a danno degli interessi materiali e dei diritti democratici dell'intero proletariato ucraino. In secondo luogo perché trascinerebbe con sé un rafforzamento del controllo imperialista occidentale sull'Ucraina, sia in termini economici (coi sacrifici abnormi dettati da FMI e UE), sia in termini politico-militari (con l'espansione dell'influenza NATO). In terzo luogo perché le popolazioni russofone hanno il diritto democratico di vedere riconosciute le proprie particolarità nazionali, linguistiche e culturali, contro ogni pretesa del nazionalismo reazionario “grande-ucraino”.

Dentro un confronto militare tra la repressione del governo liberalfascista di Kiev e l'autodifesa dei settori russofoni, i rivoluzionari non sono dunque neutrali o equidistanti. Si schierano contro la repressione, per la difesa dei diritti nazionali russofoni.

È una posizione di principio e una necessità politica. Tanto più per le organizzazioni marxiste rivoluzionarie dell'Occidente capitalista e imperialista, chiamate innanzitutto a battersi in prima fila contro i propri imperialismi: contro il loro interessato sostegno – pur fra le mille contraddizioni fra USA e UE e all'interno della stessa UE – al governo liberalfascista di Kiev, e contro l'ipocrisia della loro propaganda.
Il sostegno occidentale a Kiev nel nome della “democrazia” e della “legalità internazionale” è una menzogna rivoltante, a fronte di un governo imposto da una rivolta reazionaria, fuori da ogni declamata “legalità democratica” borghese, e per di più intriso di presenze fasciste. Come rivoltante è la demagogia antirussa a difesa dei confini nazionali dell'Ucraina da parte di potenze imperialiste “democratiche” che non hanno esitato a intervenire nei Balcani, in Afghanistan, in Iraq, per tutelare o imporre i propri interessi economici o politici, per tracciare e dettare confini e poteri di altri Stati, contro ogni principio di autodeterminazione. La denuncia di questa volgare propaganda imperialista e dei suoi veri obiettivi è centrale sia nel proletariato ucraino sia nel proletariato europeo e occidentale.

In questo quadro è importante la battaglia politica contro le posizioni di sostegno a Maidan da parte di alcuni gruppi o organizzazioni della sinistra, in Italia e nel mondo, giunti addirittura nel caso della LIT ( e del suo gruppo italiano del PdAC) a salutare come “rivoluzione” una rivolta reazionaria egemonizzata dai fascisti.


PER L'AUTONOMIA DAL NAZIONALISMO GRANDE-RUSSO

Al tempo stesso, dentro questa convergenza pratica di lotta contro la repressione di Kiev e i suoi protettori occidentali, va contrastata ogni subordinazione politica delle popolazioni russofone al nazionalismo grande-russo e all'imperialismo di Mosca. Questo è un punto importante di riflessione e caratterizzazione, contro ogni semplificazione o impressionismo ideologico.

Nella mobilitazione del Donetsk e dell'Est Ucraina si muovono diversi attori e fattori.

Sicuramente è presente un elemento popolare reale, che mescola riferimenti nazionali, oggi dominanti, con preoccupazioni sociali legate alla crisi e ai sacrifici imposti o annunciati da Kiev. Ma non siamo in presenza, ad oggi, di un reale movimento di massa, né tantomeno di un movimento di classe dei lavoratori del Donbass anche lontanamente paragonabile a quello che si sviluppò in forma imponente nel giugno del 1993 (ben 400 miniere coinvolte in uno sciopero prolungato di massa, con la nascita di un comitato di sciopero...). Se un simile movimento irrompesse sulla scena – ciò che non è escluso – potrebbe cambiare la dinamica generale degli avvenimenti. Così oggi non è. Gli scioperi di sei miniere in aprile per rivendicazioni salariali e contro i licenziamenti sono un fatto importante, perché segna una potenzialità. Ma confondere questa preziosa potenzialità con la presenza in atto di un movimento proletario di lotta quale elemento caratterizzante della situazione del Donbass significherebbe confondere i propri desideri con la realtà. La mobilitazione del Donbass non è assimilabile alla dinamica della ribellione proletaria in Bosnia. Non solo per il diverso livello di coscienza e di rivendicazioni (l'equilibrio tra istanze nazionali e sociali è esattamente inverso), ma per il diverso livello di mobilitazione di massa e di classe .

Ad oggi nel Donbass e nell'Est Ucraina l'iniziativa organizzata di precisi settori politico-militari è largamente preponderante rispetto alla mobilitazione popolare. Non si tratta, come vuole la propaganda occidentale e di Kiev, di “agenti russi mascherati”. Ma neppure, come vorrebbe un certo romanticismo ideologico, di milizie “del popolo in rivolta”. Si tratta di un mosaico di forze politico-militari nazionaliste, spesso segnate da un profilo reazionario, in cui il richiamo alla “grande guerra patriottica antifascista” si intreccia con la mitologia della “grande nazione russa”, della sua missione cristiana, spesso segnata da richiami antisemiti e nazistoidi (con tanto di svastiche, come nel caso del movimento eurasiano). Del resto il sostegno alla Grande Russia di Putin da parte di forze fasciste europee, come Forza Nuova in Italia, si nutre esattamente di questi riferimenti. Queste forze nazionaliste si sono inserite nel contrasto tra governo di Kiev e popolazioni russofone, hanno guadagnato sicuramente un consenso attivo in settori popolari, hanno sfruttato la crisi dello Stato ucraino post-Maidan per conquistare posizioni militari, hanno puntato e puntano apertamente alla separazione dell'Est Ucraina e alla sua assimilazione alla Russia. La loro azione militare (sequestri inclusi) punta esattamente a una precipitazione dello scontro con Kiev che costringa Mosca a intervenire militarmente e ad annettere l'Est ucraino.


LA REPUBBLICA DEL DONBASS E IL RUOLO DEGLI OLIGARCHI CAPITALISTI

La “Repubblica popolare del Donbass” non è dunque la reincarnazione, magari distorta, della Comune di Parigi. E neppure, come vorrebbero diverse celebrazioni staliniste, un ritorno dell'URSS in miniatura. È la conquista di una postazione di potere di forze politico-militari nazionaliste, nel loro fronteggiamento con Kiev, nella speranza di un intervento militare risolutivo di Putin. Le diverse bandiere ideologiche che la rivestono, tra loro spesso sovrapposte – dalla rinascita sovietica alla mitologia panrussa – coprono questa realtà.

Parallelamente, i grandi oligarchi capitalisti dell'Est usano la mobilitazione dei settori nazionalisti e soprattutto l'avversione popolare russofona contro Kiev (ben più ampia dell'adesione popolare alle milizie nazionaliste) come arma negoziale e di pressione sul governo centrale ucraino per strappare vantaggi economici, maggiori spazi di autonomia, un peso maggiore negli equilibri interni allo Stato. Non è un caso che i clan oligarco-capitalisti del Donbass, grandi vincitori della partita delle privatizzazioni degli anni '90, siano stati il settore dominante della borghesia ucraina negli ultimi vent'anni, non solo in termini economici ma anche in termini politici (tutti i diversi capi di governo che si sono succeduti a Kiev venivano dai clan del Donbass, da Kuchma a Tymoshenko a Yanukovich). Né è un caso che il Partito delle Regioni di Yanukovich, che reggeva il precedente regime, avesse il proprio bacino elettorale nella popolazione dell'Est ucraino, e nella sua stessa classe operaia. Crollato il vecchio regime, i grandi capitalisti dell'Est ucraino, da Akhmetov a Kolomoyskyi, giocano più che mai su tutti i tavoli. Al governo di Kiev si presentano come controllori dell'insofferenza della popolazione russofona a garanzia dell'unità nazionale. Alle popolazioni dell'Est, russofone e non, si presentano come loro garanti contro il governo di Kiev. A Mosca si presentano come possibili interlocutori e crocevia di una soluzione negoziale di reciproco interesse. Questi oligarchi cercano semplicemente tutte le vie possibili per mantenere il proprio controllo economico e politico sull'Est Ucraina. Disponibili ad ogni soluzione pur di continuare a sfruttare i propri operai, naturalmente... nel loro interesse.

Nel difendere incondizionatamente i diritti nazionali della popolazione russofona dell'Est, come i diritti nazionali di tutte le minoranze, a partire dai tartari in Crimea, non appoggiamo il “partito del Donbass” in nessuna delle sue espressioni politiche. Né in quella oligarco-capitalista né in quella nazionalista separatista.
Il diritto di autodeterminazione della Crimea era ed è incontestabile, per il carattere largamente maggioritario della popolazione russa e per la radice storica della sua cessione all'Ucraina come pacco postale da parte della burocrazia del Cremlino nel 1954.
La separazione dell'Est ucraino e la sua integrazione nella Russia non ha invece giustificazione storica né politica: la popolazione russa non è maggioritaria in nessuna regione dell'Est ucraino (ad eccezione della Crimea), l'intreccio fra le nazionalità è profondo, larga parte della stessa popolazione russofona, certo avversa al nuovo governo di Kiev, non sostiene l'opzione separatista dei circoli militanti nazionalisti (secondo rilevamenti di fonti diverse, il 25% della popolazione del Donetsk vorrebbe il passaggio alla Russia, il 65% una maggiore autonomia all'interno dell'Ucraina unita). Una separazione dell'Est avrebbe una sola conseguenza: la divisione del proletariato ucraino , con una più vincolante subordinazione di entrambi i settori che lo compongono ai grandi oligarchi capitalisti, dell'Est e dell'Ovest. Gli uni sotto il blocco occidentale e il suo governo liberalfascista, gli altri sotto il nazionalismo reazionario grande-russo e il regime bonapartista di Putin.


IL RUOLO IMPERIALISTA DELLA RUSSIA DI PUTIN

La lotta per l'indipendenza del proletariato ucraino dagli imperialismi occidentali, in contrapposizione al governo di Kiev, non può essere disgiunta da quella per la sua autonomia dall'imperialismo russo e dal regime di Putin. Per questo, così come siamo contro la repressione del governo liberalfascista di Kiev, siamo contro ogni intervento russo in Ucraina.

Il regime bonapartista di Putin non vuole oggi, in realtà, l'intervento militare in Ucraina. Vorrebbe una soluzione di compromesso con gli imperialismi occidentali. Una qualche forma istituzionale di Ucraina federale – naturalmente capitalista – che lasciasse mano libera alle regioni dell'Est nelle loro relazioni economiche internazionali. E dunque consentisse alla Russia una forte presenza in Ucraina, senza assimilazione diretta, scongiurando al tempo stesso ogni sua integrazione nella UE, e tanto più nella NATO. Gli accordi di Ginevra, dal punto di vista russo, corrispondono a questo scopo. La stessa Russia che sostiene i circoli nazionalisti separatisti del Donbass, come arma negoziale con Kiev e con l'Occidente, non avrebbe problema a scaricarli in ventiquattro ore in cambio di una soluzione soddisfacente per i propri interessi imperialistici.

Ma la dinamica degli avvenimenti ha largamente travolto gli accordi di carta stipulati a Ginevra. Il governo di Kiev non può oggi accettare una soluzione politico-istituzionale che lo privi di fatto di un controllo centralizzato sulle risorse economiche dell'Est; né può rompere, tanto più alla vigilia delle elezioni presidenziali, col sentimento nazionalista reazionario grande-ucraino e il peso organizzato delle forze fasciste politico-militari che lo sorreggono (e che partecipano direttamente al governo, come Svoboda, o lo fiancheggiano all'esterno, come Settore destro). Da qui l'azione di repressione militare avviata contro l'Est. Da qui anche la possibile precipitazione di una guerra. Perché il regime bonapartista di Putin non potrebbe subire passivamente una aperta repressione militare della popolazione russa di Ucraina, tanto più dopo essersi posto come garante della sua sicurezza sul versante interno e internazionale, se non rompendo drammaticamente col sentimento interno nazionalista grande-russo su cui Putin si regge. Né può consentire che uno schiacciamento dell'Est da parte di Kiev liberi la via ad una nuova espansione della NATO in Ucraina. Oltre a una certa soglia, contro la sua volontà, Putin potrebbe essere dunque costretto a un intervento militare dai propri interessi politici.


NO ALLA GUERRA. PUTIN, LENIN E IL DISFATTISMO

Questo intervento non avrebbe nulla di progressivo. La Russia di Putin non ha niente a che vedere con la vecchia Unione Sovietica, che poteva esportare o in forma rivoluzionaria (ai tempi di Lenin) o in forma burocratico-militare (ai tempi di Stalin) rapporti sociali storicamente progressivi. La Russia di Putin è un paese capitalista. Lo sviluppo dell'intreccio industrial-finanziario, e il peso dell'esportazione di proprio capitale finanziario, ne fa un paese imperialista. La sua politica è una politica di potenza, che non si rassegna oltretutto a un ruolo regionale, ma punta a partecipare da protagonista agli equilibri mondiali e alla spartizione delle zone d'influenza (in Europa, in Asia, in Medio Oriente), e che oggi punta strategicamente alla costruzione di una propria area d'influenza euroasiatica, grossomodo ricalcata sulla vecchia area d'influenza dell'URSS, come controbilanciamento dell'Unione Europea e della NATO.

L'intervento dell'imperialismo russo in Ucraina, richiesto dalla “Repubblica del Donbass”, avrebbe l'unico effetto di subordinare il proletariato dell'Est ucraino agli interessi economici, militari, e geostrategici di Mosca. A vantaggio del rafforzamento del regime bonapartista di Putin, del suo richiamo nazionalista sulla popolazione russa, della sua oppressione sul proletariato russo, della limitazione degli stessi diritti democratici delle opposizioni interne.

Il 22 aprile Vladimir Putin ha messo peraltro le mani avanti contro ogni opposizione interna a un eventuale intervento militare, con parole molto significative: «Alcuni in Russia augurano la sconfitta del proprio Paese. È la peggiore tradizione russa. È la tradizione dei bolscevichi, che nella Prima guerra mondiale speravano nella sconfitta del proprio governo, del proprio Paese». Putin ha ragione. Fu esattamente quella la politica di Lenin, che spianò la strada alla Rivoluzione russa, al rovesciamento dello Zar, alla conquista del potere dei soviet. Fu quella politica del disfattismo rivoluzionario contro il proprio imperialismo che gettò le basi dell'Internazionale comunista. E che i bolscevichi inaugurarono, come ricorda Zinoviev, già nella guerra fra Russia e Giappone nel 1904.

Putin demonizza Lenin, perché Lenin è la risposta proletaria a Putin. La ricostruzione di un movimento proletario indipendente in Russia ha bisogno di recuperare appieno una politica disfattista contro l'imperialismo russo (che oltretutto ai tempi di Putin è ben più forte, economicamente e militarmente, che al tempo degli Zar). Viceversa, ogni subordinazione campista alla Russia di Putin; ogni adattamento, esplicito o implicito, a una sorta di russofilia di estrazione ideologica staliniana; ma anche, su un piano diverso, ogni rimozione della natura e della politica imperialistica della Russia odierna, sono o sarebbero ostacoli – più o meno grandi – a uno sviluppo politico indipendente dell'avanguardia proletaria, nel Donbass, in Russia, sul piano internazionale.


PER UN'UCRAINA UNITA, INDIPENDENTE, SOCIALISTA

Solo lo sviluppo indipendente del movimento operaio può dare soluzione progressiva alla crisi ucraina. Con l'esproprio dell'oligarchia capitalista dell'ovest e dell'est e il controllo operaio sull'industria. Con l'esproprio delle banche (in larga parte straniere, occidentali e russe) e la loro concentrazione in un'unica banca pubblica sotto controllo popolare. Con l'annullamento dell'enorme debito pubblico dell'Ucraina verso le banche imperialiste occidentali e russe. Con la realizzazione di un governo dei consigli dei lavoratori, dell'est e dell'ovest, basato sull'armamento del popolo e dunque sul disarmo di tutte le forze reazionarie, a partire dalle milizie fasciste. Con l'edificazione di un'Ucraina unita e socialista rispettosa dei diritti di tutte le minoranze nazionali, anche nella forma di uno Stato federale, nella prospettiva storica degli Stati uniti socialisti d'Europa. Solo questa soluzione può garantire l'indipendenza dell'Ucraina dalle pressioni imperialiste di diverso segno, occidentali e russe, che oggi si contendono la sua spartizione.

La subordinazione di ogni istanza sociale e democratica del proletariato all'interesse internazionale del movimento operaio è il cuore della politica marxista. Al tempo stesso la difesa dell'interesse internazionale del movimento operaio non è la riproduzione meccanica e uniforme, in ogni diverso contesto nazionale, delle stesse parole d'ordine, ma la capacità di ricondurre ogni diversa rivendicazione e articolazione di classe, ogni diversa rivendicazione democratica e nazionale – in rapporto alle diverse particolarità oggettive e soggettive di ogni situazione e alla sua dinamica – all'interesse superiore della rivoluzione socialista internazionale. Contro ogni subordinazione, diretta o indiretta, al nazionalismo borghese.
Oggi la rivendicazione di un'Ucraina unita e socialista, rispettosa dei diritti nazionali delle minoranze (anche in forma federale), combina la contrapposizione agli imperialismi occidentali con l'opposizione all'imperialismo russo; la contrapposizione al nazionalismo reazionario ucraino e dunque al governo di Kiev con l'opposizione al nazionalismo grande-russo in tutte le sue espressioni e tradizioni. Come equilibrare tra loro i due aspetti dipende dalla dinamica concreta della situazione e della lotta di classe. Amputare o sacrificare l'uno o l'altro aspetto contraddirebbe la coerenza della politica rivoluzionaria.

Marco Ferrando

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